Diritto e Religioni
Rivista semestrale di Diritto ecclesiastico, canonico e diritti confessionali
La nascita di una nuova Rivista in un
settore così delicato come quello che riguarda i rapporti tra diritto e
religione ha, indubbiamente, una svariata gamma di significati che
sono stati in parte avvertiti da chi opera giuridicamente in tale
settore ma anche trascurati per le difficoltà di molti di mutare il
proprio retroterra culturale, adeguandosi a realtà nuove, assolutamente
impensabili solo pochi anni fa. Tradizionalmente tali rapporti sono
stati affrontati da quegli ecclesiasticisti che hanno posto il fattore
religioso quale oggetto principale delle loro ricerche, con un taglio
metodologico prevalentemente giuridico e con esiti non sempre felici,
solo che si pensi che non esiste un preciso significato giuridico del
termine religione e che i giuristi più sensibili, come il Magni, lo
traevano dalla storia delle religioni e dalle altre scienze religiose.
Mi sembra oggi opportuna una Rivista che anche a livello internazionale
dialoghi su diritto e religione soprattutto in un momento come questo
nel quale il terrorismo di origine fondamentalista, anche religiosa, ha
sconvolto l'ordine democratico dei Paesi Occidentali. Se le
istituzioni avessero avuto coscienza dell' insorgere di un tale
fenomeno o maggiori informazioni, avrebbero potuto suggerire mezzi di
contenimento diversi (e magari più efficaci) di quelli posti in essere
fino ad oggi. La Rivista si riferisce anche a questa realtà, per cui va
ben oltre l' ambito accademico e giuridico, dirigendosi ai lettori più
diversi. L' oggetto del diritto ecclesiastico ha negli ultimi decenni
mutato i propri contenuti, per cui poco aggiungono i riferimenti -oltre
che alla più tradizionale materia matrimoniale, a quella patrimoniale e
agli enti- ai diritti confessionali -nei confronti dei quali paghiamo
un gap culturale che doveva prima o poi essere colmato-, alla stagione
delle intese -che non può procrastinarsi indefinitamente senza
provocare una frammentazione del diritto ecclesiastico stesso-, o ai
problemi nascenti dalla globalizzazione o dalla nuova idea di Europa.
Quanto sembrava fuori dalla portata della nostra realtà, italocentrica o
al più eurocentrica, è divenuto attuale, anzi insopprimibile, per cui
le vecchie categorie giuridiche e gli istituti tipici del diritto
ecclesiastico appaiono da rivedere e vanno affrontati in modo del tutto
diverso da quanto non si sia fino ad oggi fatto. In realtà, la dottrina
ecclesiasticista più sensibile aveva compreso che una visione
meramente privatista e formalista del diritto ecclesiastico -quale
quella avanzata dal Del Giudice, che voleva espungere ogni rapporto con
le scienze storiche, politologiche e teologiche, ivi comprese le c.d.
scienze sacre-, aveva ristretto di molto l'ambito della disciplina, in
particolare agli aspetti internazionalistici e costituzionalistici e,
per la parte speciale, soprattutto alla materia matrimoniale e agli
enti. Si era compreso cioè che senza gli opportuni riferimenti
comparatistici, i presupposti storici e politologici, e i costanti
riferimenti alle altre scienze giuridiche, il diritto ecclesiastico
avrebbe potuto inaridirsi o risultare di difficile comprensione. Sono
state create così Riviste che, nel fare riferimento alla politica
ecclesiastica o ai diritti confessionali, non chiariscono con quale
metodologia tali problemi debbano essere affrontati. Nell'evidenziare
precise esigenze se ne trascurano alcune altre che avrebbero dato al
diritto ecclesiastico un ben diverso respiro. Il fattore religioso è
una delle forze profonde della storia umana; ancor oggi le divisioni
tra gli Stati nazionali o le lotte al loro interno hanno spesso
motivazioni religiose. Ed anche se il mondo moderno nasce dalle paci di
religione, vi sono ancora guerre di religione per dirimere le quali non
si trova alcun mezzo sul piano giuridico, evidenziando una crisi del
diritto internazionale e nel contempo di quello ecclesiastico. Si
ritorna così all'idea della guerra santa e delle crociate, che appaiono
agli occhi dei più improponibili, ci si radica su posizioni
fondamentaliste, per poi scoprire che tutto questo è avvenuto già
alcuni secoli fa! Solo che con l'avvento dello Stato di diritto e
l'assetto internazionale successivo alla seconda guerra mondiale, ciò
non avrebbe dovuto ripetersi. Il mondo, divenuto più piccolo anche se
molto più popolato, pone a confronto realtà culturali e religiose molto
differenti rispetto alle quali dobbiamo pure attrezzarci. Mai come in
questo momento il fattore religioso appare al centro dell'attenzione
del mondo giuridico, per cui non si vede proprio quale crisi possa
conseguire per il diritto ecclesiastico che vede così affermata la
propria necessità di esistere e di molto ampliate le proprie
possibilità operative. Se una crisi è possibile configurare essa
riguarda il modo con cui fino ad oggi il diritto ecclesiastico è stato
riguardato, perché, proseguendo sui i binari precedenti, esso
sicuramente sarebbe morto dal momento che ciascuno dei suoi settori
potrebbe essere trattato da discipline affini (diritto costituzionale,
internazionale, civile, amministrativo, canonico etc.). Scienza di
mezzo, il diritto ecclesiastico è aperto ai loro contributi, anche se
svolto con una diversa metodologia e sensibilità culturale Di quel
diritto ecclesiastico le Riviste fino ad oggi edite sono state
espressione. Ora è evidente che una Rivista ha ragione di esistere se
persegue un fine, se vuole introdurre in termini nuovi un discorso, se
ha un taglio suo proprio, se tenta di rapportarsi ai tempi, in una
parola se si differenzia dalle altre Riviste affini. Diversamente,
riprodurrebbe in termini analoghi la stessa giurisprudenza o
collezionerebbe articoli dai temi più disparati con l'unica
preoccupazione di dare prova, prima di tutto a se stessa, che la
disciplina esiste, ha ragione di essere. Io credo che aggiungere
un'altra Rivista di questo tipo non avrebbe alcun senso. Lo avrebbe
invece se, apertasi alle altre scienze affini (antropologia e
sociologia religiosa, storia delle religioni, storia delle istituzioni
religiose e dei rapporti tra Stati e Chiesa, filosofia delle religioni,
storia del diritto canonico, diritti confessionali, ivi compreso il
diritto canonico), trattasse il medesimo oggetto, il fattore religioso,
da molteplici punti di vista, su un piano non solo interno ma
internazionale, poiché i movimenti religiosi vivono a cavallo di più
ordinamenti e sono da questi riguardati in maniera differente. Chi
avrebbe mai pensato, dopo la fine della seconda guerra mondiale, a un
ritorno all'idea di nazione, o a un rigurgito di confessionismi e
fondamentalismi? Chi avrebbe pensato alla proliferazione delle nuove
religioni, provenienti, attraverso il Nuovo mondo, dell'Oriente, o allo
svilupparsi in Europa delle grandi scuole di pensiero orientali come il
buddhismo? Chi avrebbe mai pensato, come si è detto, a nuove guerre di
religione quando l'unica prospettiva possibile è la convivenza, il
rispetto reciproco, la tolleranza? Questi sono solo alcuni dei problemi
che la presente realtà ci pone e dalla quale non sono esenti i
giuristi. Affrontare tali tematiche pone notevoli problemi
organizzativi all'interno di una Rivista: la creazione di sezioni
specifiche con direttori scientifici che si assumono l'onere del
controllo dei testi e della loro confacenza scientifica; l'abbandono,
per quanto possibile, di ogni ideologia di parte; un impegno culturale
che va oltre i contenuti accademici, dal momento che una Rivista non è
un cartello di professori e non serve a illustrare una disciplina, va
ben oltre. Tra il 1939 e il 1942, Pio Fedele fondava una Rivista,
Archivio di diritto ecclesiastico, che resta ancora, nel ricordo di
molti, un modello, per i dibattiti aperti, la cura degli articoli, la
scelta della giurisprudenza e le note di commento, le rubriche
riguardanti le rassegne di giurisprudenza, le recensioni, le
segnalazioni bibliografiche e le novità legislative. Per un momento si
era pensato di riprendere tale Rivista -edita nell'ultimo anno dalla
Cedam e chiusa anche per il protrarsi del conflitto bellico- ma lo si è
evitato, nonostante il cortese assenso della Signora Fedele, perché
quella Rivista, come evidenziava nella sua Presentazione Mattia
Maresco, era sorta con il consenso di tutta la disciplina, mentre
questa attuale non ha in atto il consenso di nessuno e non tende ad
illustrare una disciplina, ma soprattutto perché il taglio, volto
principalmente al rapporto diritto ecclesiastico-diritto canonico, era
molto diverso da quello che si vuole qui proporre. Oggi manca quel
genere di professori e non sia ha più la pretesa di archiviare alcunché
né di scrivere per i posteri, data l'importanza degli argomenti svolti;
tutto si brucia in poco tempo ed anche se ha dimensione scientifica, è
più legato all'attualità. Si confida meno nel diritto che segna un
periodo di stasi ed è soggetto a molteplici attacchi, Ed anche se non
siamo nella situazione di crisi successiva alla seconda guerra
mondiale, un fatto è a tutti evidente: i suoi limiti di operatività e
di intervento. Se ciò per un giurista è sconfortante, è pure evidente
che non si può in alcun modo prescindere dai principi giuridici,
violare le regole che ci siamo liberamente date. Occorre un maggiore
impegno perché quei principi nei quali abbiamo confidato abbiano la
possibilità di sussistere, non ultimi i diritti di libertà, quelli che
hanno dato vita allo Stato etico, i valori democratici e quelli
religiosi. Trattare questi ultimi in chiave prevalentemente giuridica è
segno di grande civiltà, serve a creare quel terreno di pacifica
convivenza necessario alla conservazione dell'umanità. Ed anche se
tutto ciò va ben oltre le nostre forze, l'impegno quotidiano di
ciascuno di noi passa attraverso questa tensione civile. Io spero che
la Rivista possa esserne espressione, motivo non di divisione ma di
unione. Fare cultura significa tramandare i valori nei quali si crede,
continuare un discorso, programmare il futuro senza rinnegare la
propria tradizione. Questa Rivista è dedicata a quelli tra i miei
allievi che hanno condiviso le mie impostazioni culturali e si sono
riconosciuti in esse, perché proseguano quest'opera e la portino a
destinazione. Mario Tedeschi